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WESTERN Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 maggio 1997
 
di Manuel Poirier, con Sergi Lopez, Sacha Bourdo, Elisabeth Vitali (Francia, 1997)
 
Gli artisti non amano, e giustamente, essere confinati in uno specifico quadro espressivo. In una cornice, quasi una comoda somma di desideri da parte dell'osservatore che si vedrebbe cosi facilitato il compito, e che ne finirebbe per castrarne il respiro creativo. Cosi i registi, i più vitali perlomeno, s'impongono di alternare ad un film cosiddetto leggero un altro considerato impegnato, una commedia ad un dramma, un cinemascope fra spazi aperti ad un'analisi sociale urbana.

Manuel Poirier non sfugge alla saggia regola: e all'aspro, introspettivo MARION nel quale dipingeva lo scontro fra una famiglia di operai di un villaggio della Normandia con quella di una coppia di ricchi cittadini in residenza secondaria, fa seguire questo WESTERN. Film, perlomeno a prima vista, spensieratamente comico, disinvoltamente documentaristico, "una road-movie in Cinemascope su quindici chilometri", come la definisce ironicamente l'autore.

Alla tranquilla violenza, alla determinata volontà politica della storia di Marion, la ragazzina di 10 anni che i volonterosi Jean- Luc Bideau e Marie-France Pisier cercano di strappare al grigiore del suo presunto avvenire proletario, Poirier fa seguire quella di Paco, commesso viaggiatore di calzature catalano appiedato in seguito a furto d'auto, dongiovanni di discreti successo per solitudine più che per vocazione. E di Nino, il piccolo, fragile, raggrinzito giramondo russo, sbarcato da quelle parti non si bene come; buffo, brutto ma quanto tenero anatroccolo che fatica terribilmente a tenere il passo del compagno di ventura. Ma al quale inaspettatamente verrà riservata una sorte da principe azzurro, magari soltanto di serie B. Una deriva, pure questa un po' sbrindellata e del tutto smitizzata, sulle strade della provincia, nelle prospettive "western" di una contrada che ha ormai ha ben poche praterie da colonizzare, la Bretagna.

Due esiliati in cerca di amore, Paco e Nino. E lo spettatore viene condotto per mano per quei quindici chilometri di una deambulazione che si fa sempre più approssimativa e caotica, di tutta una serie d'incontri (solitamente femminili) condotta molto di più sulla voglia del faceto che non del serio: sul filo di una simpatia che sentiamo legare l'autore ed i suoi attori, e che non può non trasformarsi in quella quasi affettuosa degli spettatori per i personaggi del film.

Come nel cinema di Pialat, che non a caso l'autore di WESTERN dichiara di prediligere assieme a quello di Bresson e Cavalier, quello di Poirier sembra nutrirsi essenzialmente delle situazioni che crea. Incurante della progressione drammatica, lascia agli attori tutto il tempo per respirare, si costruisce spesso in lunghi piani-sequenza nei quali si parte da una situazione senza sapere esattamente dove si andrà a finire, confronta gli attori con micro-avvenimenti improvvisi, delle vere e proprie sorprese che indoviniamo spesso fra le pieghe dei dialoghi scritti, in certi scoppi d'ilarità mal repressi da parte dei protagonisti.

Il risultato di un approccio del genere non può che essere quello della spontaneità: e le scene di WESTERN, quelle dei piccoli flirt con le cameriere dei bar piuttosto che con le frequentatrici dei balli di campagna sono in effetti di una grande naturalezza. Il rischio, al contrario, è quello di una certa approssimazione. Assai di più rispetto ai suoi tre film precedenti, quello di Poirier si fa cinema del "prima" e del "dopo". Prima che si faccia l'amore; e dopo che lo si è fatto, al momento delle confidenze sul cuscino. WESTERN è zeppo di ellissi, quei procedimenti che permettono di abbozzare una situazione e di filmarne solo la conclusione, lasciando allo spettatore d'indovinarne i contenuti centrali e spesso sostanziali.

Generosità espressiva, fluidità del racconto, vaghezza che facilmente sollecita la poesia; ma che arrischia pure di stemperare nella facilità. Cosi, nel film, quei flamencos di certo seducenti, ma che sembrano messi li apposta per sfumare certe situazioni che non si ha troppo voglia di approfondire. O l'utilizzo medesimo di quel cinemascope che giustifica il titolo; ma che, lungi dal fondere drammaticamente gli attori all'ambiente, di instaurare una dialettica della composizione dei diversi elementi all'interno dell'inquadratura, esiste passivamente come uno dei tanti elementi simpaticamente decorativi.

WESTERN è allora un film simpatico (e troppo lungo): per la grazia dei suoi attori, per il possibilismo della sua apertura estetica e quindi mentale. Ma è pure un film buonista: dove i ladri e derubati finiscono sempre per fraternizzare, le donne premurose per consolare le proprie solitudini con quelle degli uomini che le avvicinano, gli avventori al bar per fraternizzare con i vicini, i genitori per perdonare i figlioli prodighi. Non vorremmo che, allontanandosi dalla pacifica violenza politica di quelle memorabili di MARION, le favole discrete di Manuel Poirier diventino fin troppo belle per essere vere.


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